martedì 17 luglio 2012

Una sera al cinematografo: Cabin Fever, 2002

Un gruppetto di stolidi adolescenti americani, appena terminata la high school, decidono di partire per un fine settimana in uno di quei posti del cazzo al sud degli stati uniti, posti dove la gente va sempre in giro con il fucile e dove il Q.I. . non arriva mai a 80. Una volta arrivati, il più scemo di loro, volendo rimanere in linea con lo spirito del luogo che lo ospita, si mette a sparare a casaccio nel bosco e, come esaltante risultato, riesce a ferire solo un barbone dalla pelle putrefatta. L'idiota si caga nelle brache e fa ritorno a casa e, essendo uno stolido ciacciabeone, non ne fa parola con gli altri. Nottetempo il barbone va in cerca d'aiuto presso la casina di legno, sperduta ovviamente in mezzo al bosco, ove la stolta combriccola trova rifugio e, in tutta risposta, gli adolescenti lo cacciano a calci nel culo ma il barbone, essendo egli cosciente della sua condizione di uomo con la pelle putrefatta, vomita addosso ad una delle fanciulle un buon ettolitro di sangue; al che i giovincelli decidono di dar fuoco allo scioperato figlio di troia che, correndo, finisce in un lago e, ivi, muore. Passata la paura e contenti per il loro primo omicidio di gruppo, gli adolescenti vanno a dormire. La mattina dopo, la ragazza si sveglia e, come il povero barbone perdigiorno zecca, inizia a vomitare sangue ed a decomporsi come una carogna. I suoi amici, che sono dei giovani ciucciapalle sostenitori di quel coccolaebrei di Obama, decidono democraticamente e, perché no?, simpaticamente di metterla in quarantena all'interno di una stalla. Gli altri stronzi decidono di partire per recuperare il cadavere del barbone e lo ritrovano a galleggiare lungo il torrente; comprendono allora che il barbone era infetto da un'oscena malattia, che la loro amica ne è a sua volta infetta e che chi beve l'acqua ce l'ha ad altezza coccige. Senza sapere bene cosa fare, i giovani iniziano ad impazzire e, uno dopo l'altro, vengono sterminati da un cane folle, in primis, e dalla popolazione autoctona, in secundis, (con, ovviamente, tutto il benestare delle forze dell'ordine.
Eli Roth (questo nome mi puzza, non è che siamo di fronte ad un altro figlio di giuda?), cane maledetto e frustrato, dichiara di essersi ispirato, per girare questa pellicola, ai suoi film horror preferiti "la casa", "Non aprite quella porta" e "L'ultima casa a sinistra" ma in realtà, furbescamente, si scorda di citare il vero e proprio film da cui "cabin fever" è totalmente e malamente copiato e cioè "la fattoria maledetta"(the curse in inglese) del 1987 ove anche lì ci si trovava in uno di quei posti del cazzo a sud degli USA e dove la malattia (deformante e spappolante per chi la contraeva) veniva trasmessa attraverso l'acqua. Ma se già la "fattoria maledetta" poteva essere già considerato un film di merda, cosa potremmo dire di questa sua sbiadita, triste e tutt'altro che emozionante fotocopia? Cabin Fever è un film presuntuoso e privo di costrutto, girato presumibilmente nell'arco di un giorno (o almeno così riteniamo sia meglio che il regista dia ad intendere) senza il minimo rispetto per chi, in seguito, lo sarebbe andato a vedere nei cinema, spendendo dei soldi che avrebbe potuto devolvere più giustamente ad al qaeda che per lo meno è meno ipocrita nel proposito di danneggiare o terminare le vite altrui. Non c'è suspence in questo film di merda né tanto meno orrore; l'unico orrore che si può scorgere è quello dipinto sui volti di quei poveri stronzi che hanno il coraggio di affrontare la sua visione dall'inizio alla fine.

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