Sto qua
rinchiuso in questo salotto insieme a questa sociopatica, frustrata, menomata. Le immagini passano sullo schermo con la stessa gradevolezza di coltelli nello stomaco, ma d'altra parte posso fare poco o niente per fuggire. Se inventassi una scusa, se cercassi una giustificazione per andarmene, lei se la prenderebbe a male ed inizierebbe a mettermi il muso e a non parlarmi più per giorni e giorni. Cosa dovrei fare?
Quando l'ho conosciuta sembrava diversa, prendevamo una bottiglia di vino ed iniziavamo a camminare per il lungo mare. Ci scambiavamo opinioni mentre l'ubriacatura saliva piano piano, lasciandoci poco a poco trasportare dal senso d'ebrezza donato dal liquido rosso. Poi l'ora di cena arrivava, ci fermavamo a mangiare qualcosa al volo: un panino, una piadina, un kebab, uno spicchio di pizza. E poi finivamo per ritrovarci seduti in un qualche locale squallido a prendere in giro quelli che ballavano. Sarebbe un mondo migliore se ci fosse più gente che sentisse la danza come uno sfogo e non come un dovere nei confronti del sabato sera o del rimorchio occasionale di persone squallide quanto loro... L'amore era un'altra cosa, consumato con fame, con desiderio, consumato nei posti più insensati ed improbabili: un desiderio che ci coglieva all'unisono e, dove eravamo eravamo, andava fatto senza se e senza ma.
Ad un certo punto, dopo secoli, iniziai anche a pensare che ero veramente innamorato. Sentivo le farfalle nello stomaco e non per via delle enormi quantità di vino che tracannavamo ma per via che quando la vedevo arrivare mi si dipingeva in volto un'espressione ebete, smettevo di pensare, non recepivo più altre immagini se non il volto di lei che, avvicinandosi, mi sorrideva. Perché siamo tutti più ridicoli quando siamo innamorati?
Poi, non so perché, tutto è scivolato nella norma. Siamo finiti alle cene degli amici, con gli amici, per gli amici, in ristoranti di medio basso profilo a consumar battute del cazzo e, ai fini della civile convivenza tra esseri umani, ognuno a stare attento a quello che diceva per non ledere la sensibilità altrui, a far finta di essere interessati ai discorsi degli amici, sempre meno interessanti, sempre più carichi di ovvietà. E quando ti circondi di ovvietà, l'ovvietà ti mangia vivo. Sparirono le lunghe conversazioni, i sorsi di vino dalla bottiglia, il sesso girovago ed istintivo. Tutto rientrò nella norma. Una sera, dopo l'ennesima cena a pane, acqua e rimpianti, finimmo in un locale squallido e, per fare qualcosa di diverso, iniziammo a ballare. Non vi descrivo il senso d'orrore quando vidi, seduta ai tavoli, una coppia di ragazzini che ci prendevano in giro per come ballavamo e per come ci atteggiavamo. Avvertii il senso claustrofobico di mille labirinti ed il rumore di milioni di porte chiudersi di fronte a me. Avvertii la fine.
Sto qua,
rinchiuso in questo salotto insieme a questa sociopatica, frustrata, menomata. Mi sta mostrando dvd su dvd dei suoi due nipotini: un giorno al parco, un giorno a gardaland, un giorno alla comunione del fratello più grande. Da quando sono nati quei due gemelli del cazzo non fa altro che fargli filmati su filmati, li riguarda di continuo e ripete ossessivamente le frasi stentate e prive di significato di questi due esseri umani involuti. I bambini piccoli mi hanno sempre fatto pena, non ragionano, non pensano, credono che tutto sia incredibile e nuovo; sono solo degli illusi che la vita, a breve, inizierà a prendere a schiaffi senza ritegno né rispetto. Come posso provare affetto o tenerezza?
La visione finalmente giunge al termine, lei è entusiasta:
"Non sono splendidi?"
"si, lo sono"
"Hai sentito quando Marco ha detto "cia mi compi gelao?" Non è adorabile?"
"Si, è molto buffo"
"Come sono belli i bambini, così teneri, così innocenti"
"Si, è vero"
"E se ne facessimo uno anche noi?"
Un pugno alla bocca dello stomaco, ecco cosa provo
"dovremmo pensarci un po', non è una cosa da fare a caso"
"ma lavoriamo entrambi, non dovrebbe essere un'impresa!"
"mmmm, ok!"
"Che bello, io vorrei tanto una femmina!"
"Beh anch'io, mi son sempre piaciute di più"
Mi alzo, mi avvio verso la porta d'uscita
"dove vai?" mi fa lei
"Vado a comprare le sigarette"
"bisognerà che tu smetta prima o poi, t'immagini tua figlia che ti abbraccia e sente che suo padre puzza di nicotina e tabacco?"
"Guarda, questo sarà l'ultimo pacchetto..."
Esco di casa.
M lo diceva sempre quel mio amico: "Una coppia ha sempre bisogno di novità, ci si mette insieme e poi dopo un po' ci si annoia, ecco che si va a convivere. Poi, quando sei andato a convivere, ti accorgi che ti annoi e allora che fai? Beh, ti sposi. Quando ti sei sposato poi? Ti riannoi di nuovo, e allora? Ecco che nasce un bambino..."
Pensavo di esser stato bravo perché la fase del matrimonio ero riuscito a saltarla ma l'unico risultato era che ero scivolato direttamente alla fase successiva. No, non ero bravo, non ero bravo manco per il cazzo...
Possibile che ogni relazione debba sempre finire così? O ci si adegua alla norma o ci si lascia? Possibile che alla fine si finisca sempre per assomigliare ai propri genitori?
Avrò un figlio, lo sgriderò perché non fa i compiti, perché fa tardi la sera o per un brutto voto a scuola, gli consiglierò di non dare confidenza agli sconosciuti e di non prendere droghe. Diventerò ancora più noioso di quanto non lo sia già adesso...
Sto per attraversare la strada ed in lontananza arriva un'ambulanza sparata. C'è un'emergenza, è la mia vita che va a pezzi. Le macchine si fanno da parte, l'ambulanza sfreccia decisa in mia direzione. Colgo l'attimo e mi butto sotto di essa.
Non mi avrete mai.
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