venerdì 4 maggio 2012

Storie di vita vissuta: il giorno che sono morto

Il giorno che sono morto è stato un giorno teneramente di merda poiché, d'altronde, il giorno in cui muori è, si, una liberazione da una vita di rinunce e privazioni ma è anche il momento in cui scivoli in un oblio senza fine o, se hanno ragione le cornacchie di cristo, buddah, allah o qualsiasi altro errore madornale del genere umano, il momento in cui finisci tra le braccia di un creatore e quindi vieni giudicato e poi, com'è ovvio, lasciato nelle mani di una divinità punitrice che provvede con dovizia alla macellazione di tutto ciò che ti è più caro (i coglioni se sei un uomo o la pochette dei trucchi se sei una donna).
A me, tuttavia, è andata diversamente poiché son rimasto tristemente in vita e ciò, bene dirlo, mi incupisce al solo pensiero anche ai giorni attuali...
Insomma
Quel giorno mi svegliai sapendo bene che avrei ricevuto una notizia e, pur avendo il cerebro ancora inquinato dal virus della speranza, sapevo bene che questa non mi avrebbe giovato ma, anzi, rattristato nei giorni a venire (se mai ce ne sarebbero stati). Nonostante qualche ritrosia, che m'imponeva saggiamente di restare a letto, preferii alzarmi ed andare incontro al mio destino. Feci colazione, cazzegiai un po' sul web, mi diedi a qualche pulizia domestica, dopo di che mi preparai un fetido pranzo fatto di pastasciutta ed autocommiserazione, entrambe scadute. Mi rimisi sul web e la notizia non tardò ad arrivare
ed io cambiai
mi misi la testa tra le mani
e qualcosa dentro di me si perse
si perse nell'oblio
i miei occhi accennarono qualche lacrima
ma cessai subito
con forza e disperazione m'imposi uno sguardo neutro
perché un vero uomo non piange mai
ma, magicamente, mi limitai a seguire quel qualcosa che da dentro di me si era portato verso le calde braccia dell'oblio. Il primo passo fu lo shopping: la pratica che chiunque adotta per non lasciarsi prendere dallo sconforto derivante dall'appartenere al genere umano, la terapia d'urto che ti porta nei posti più affollati dai tuoi simili al fine di provare a sentirti uno di loro quando senti dentro di te che non fai più parte di quell'allegra combriccola di mesti pagliacci che è la società, ma a parte quattro paia di scarpe, un giubbotto nero da montanaro solitario ed un cappello da taglialegna non riuscii ad acquisire altro dai miei simili se non che il solito vecchio disprezzo che per loro provavo. Sentirmi uno di loro non mi aiutò ma servì solo a peggiorare la situazione.
Chiamai dunque un mio amico ed il mio amico venne. Cenammo insieme in un postaccio dove mangiammo poco e male e bevemmo tanto e peggio, dopo ci recammo in un pub dove, birra dopo birra, persi totalmente le staffe ed iniziai ad urlare ai presenti che ero morto. Morto non ero ancora ma sicuramente mi rivelai un ottimo profeta delle mie vicende personali. Il mio amico, che è un buon amico anche ora che sono morto (forse perché anche lui è morto come me), mi prese per un braccio e mi riaccompagnò a casa. Feci le scale con il passo di un morto. Mi misi a letto e chiusi gli occhi. La mattina dopo mi svegliai e vedevo solo nero. Solo ed esclusivamente nero.
                                                                 Ero morto
Per l'amor del cielo: mi alzai e feci tutte le cose che dovevo fare proprio come fossi vivo ma il sapore era cambiato, la passione era esaurita, la sostanza ormai mancava, il desiderio era appassito, la motivazione era ormai decaduta. Dal quel giorno mi manca la volontà di ascoltare il prossimo, capirne le motivazioni, provare empatia per la sua condizione
poiché la morte ti libera dagli altri e dai loro sentimenti
da te stesso e dai tuoi sentimenti
ti mette su di una collina ed insieme a te li deride
ricordandoti che sei stato uno di loro
di come eri anche tu un essere fragile e soggetto al giudizio degli altri
di come anche tu avessi paura di rimanere solo
di come anche tu ti creassi amicizie per convenienza o per necessità
di come anche tu t'innamorassi a caso seguendo solo dei meccanismi chimici e selettivi
di come anche tu ti lasciassi incatenare ad una relazione che fosse di lavoro, di parentela, di amicizia o, peggio ancora, d'amore
ed a questa consapevolezza t'incatena
e sei schiavo della libertà di non provare più niente
perché provare sentimenti fa solo soffrire
e i morti non soffrono
mai

non gradisco questa vita da vivo
non gradisco questa vita da morto
non gradisco questa vita. Punto.


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